Il ritorno di Ebola
Ebola. E’ ricomparsa questa parola in questi giorni sui giornali, alla radio, nelle riunioni di professionisti e nei mercati.
Perché è ricomparsa la malattia nel cuore dell’Uganda.
Mancava da prima del Covid, quando aveva causato 4 vittime.
La prima volta, la maggiore, gli amici del Lacor l’hanno bene in mente. Era il Duemila e tra i 224 morti del focolaio ci sono stati 12 infermieri del Lacor e il dottor Matthew Lukwiya.
Ora l’Ebola si è manifestato nel distretto di Mubende, a tre ore dal Lacor; ad oggi ci sono state oltre 20 vittime. Bisogna agire in fretta, perché l’unica arma contro questo virus è il tempo. Confermare i casi con sintomi sospetti, isolarli, tracciare e confinare tutti i contatti.
Ed è ciò che si sta facendo in tutta Uganda e al Lacor. Sono state subito messe a punto campagne di informazione per riconoscere i sintomi, si sono moltiplicate le riunioni del personale sanitario per avviare le procedure di emergenza, si sta attrezzando l’unità di isolamento.
L’Ebola è una malattia virale che ha una mortalità molto elevata, a rischio sono soprattutto gli operatori sanitari che possono infettarsi con sangue e liquidi corporei. L’origine è animale, scimmie, pipistrelli, ma quando passa all’uomo poi si trasmette da persona a persona: da paziente a medico, da madre a figlio, dai cadaveri, durante la sepoltura. E’ una malattia subdola: i sintomi sono molto generici, febbre, dolori muscolari possono far pensare alla comune malaria. Ma qwuando compaiono, se è Ebola, il malato è contagioso.
I medici del Lacor sono sereni e si stanno attrezzando.
Hanno esperienza nell’affrontare questa malattia e strumenti per proteggersi. Grazie alle donazioni raccolte durante il Covid, i magazzini sono ancora ben forniti di dispositivi di protezione.
Le precauzioni da prendere e le misure da rinforzare sono state subito comunicate a tutto il personale: si tratta di costituire un gruppo di lavoro dedicato, potenziare le misure igieniche, mettere a punto un protocollo per individuare e gestire eventuali casi sospetti, aumentare la sorveglianza. E, soprattutto, mantenere sempre alta la guardia e le misure di protezione. Ma anche creare campagne di sensibilizzazione da divulgare tra la popolazione, per battere il virus sul tempo.
AL Lacor tutto è pronto. Ma la speranza è che Ebola rimanga lì dov’è, a tre ore di distanza. E poi, dopo essere arrivato chissà da dove, venga interrotta la catena di trasmissione isolando i malati e i contatti e … se ne vada.
C’è già tanto da fare per la salute e il futuro di questa popolazione, senza che un altro flagello si abbatta sulla gente d’Uganda.