Ti scrivo dal Lacor
Cari amici,
sono al Lacor da due settimane; mi ero ripromessa di scrivere a tutti voi che, dall’Italia (e non solo), rendete possibile tutto ciò che vedo nei reparti, negli ambulatori, ma anche fuori, nei villaggi, nei tre centri sanitari periferici dell’ospedale e persino sulle ambulanze.
Ma sono stata per così dire “sequestrata”.
Sono tornata al Lacor dopo sei mesi dalla mia ultima missione.
E’ un momento delicato per l’ospedale, come lo è per la gente d’Uganda.
Il Paese sembra uscito dalla pandemia: sulla lavagnetta vicino all’ufficio della direzione infermiere, campeggiano tanti zeri da ormai un mese. Zero nuove ammissioni, zero casi, zero decessi: tanto che l’Unità Covid è stata chiusa. Al suo posto sono tornate le donne del reparto di ginecologia. E’ un ritorno alla normalità, le donne sono sempre state il cuore del Lacor, destinatarie di cure e di servizi proprio perché sono tra le categorie più fragili della popolazione.
Però il momento è davvero critico. Due dati che chi incontro mi ripete in continuazione: il costo della benzina è raddoppiato. Era meno di tremila scellini ugandesi al litro, ora ha superato i seimila (un Euro e mezzo circa). Lo stesso vale per i beni di prima necessità: una tazza di fagioli è passata da mille a duemila scellini.
In queste due settimane ho incontrato più volte i direttori, ma anche gli specialisti, i tecnici e le caposala; il numero dei pazienti sta tornando ai livelli pre-Covid. Eppure le fatiche sono aumentate: c’è bisogno di più materiale di consumo per la protezione personale, c’è la richiesta di una diagnostica un po’ più avanzata e le sfide di cura si sono moltiplicate di fronte a pazienti che vengono a chiedere aiuto sempre più tardi e sempre più malati.
L’ultimo sabato di giugno il Lacor, insieme agli stakeholders e a numerosi rappresentanti della Comunità, si è riunito nell’Annual General Meeting; era la prima volta in presenza dopo due anni di pandemia, ed è stato una preziosa occasione di riflessione e di confronto.
Il direttore Emintone Odong ha commentato i dati e le attività dell’ultimo anno fiscale, mentre il direttore Martin Ogwang ha illustrato sfide e obiettivi raggiunti nei cinque anni passati.
Poi è stata la volta di tracciare le direttive per il futuro: dove andrà il Lacor nei prossimi cinque anni?
La risposta non può che essere una sola, la stessa che hanno dato i miei genitori 62 anni fa: offrire le migliori cure, al maggior numero di persone, al minor costo possibile. Sforzandosi di farlo rimanendo al passo con i tempi, per una popolazione che davvero lo merita dopo decenni di terribili conflitti.
Anche l’ospedale, da quando è iniziata la pandemia, affronta costi crescenti. E proprio in un momento in cui la nostra raccolta fondi soffre delle tante crisi che il pianeta sta vivendo: il Covid, prima, e ora la guerra in Ucraina e le conseguenze tragiche dei rovesciamenti climatici.
Il Lacor conta su di noi.
Insieme alle colleghe della Fondazione Corti, è questo ciò in cui continuiamo a credere e per cui lavoriamo. Rimanete al nostro fianco.
Dominique