Le sfide del Covid
Carissimi amici,
sono tornata da un paio di settimane e ho ancora negli occhi gli sforzi e la dedizione di chi ho visto all’opera al Lacor, dove si sta affrontando con determinazione una battaglia impari contro una malattia che sta esacerbando ancor di più le differenze tra Paesi ricchi e poveri.
In questa lettera ho pensato di condividere con voi le parole di Janet Adong, caposala dell’Unità Covid, e i ringraziamenti del dottor Kansiime Jackson, internista responsabile dell’Unità Covid. Pochi giorni prima di rientrare in Italia, ho chiesto loro di raccontarci le sfide che affrontano ogni giorno.
“Sono molte”, ha esordito Janet riferendosi soprattutto al numero di pazienti critici ammessi quotidianamente; un numero che in questi giorni sta fortunatamente calando, ma che era arrivato a dieci nuovi pazienti in 24 ore.
“I pazienti Covid hanno bisogno di assistenza respiratoria, ma anche di molte cure infermieristiche. Il personale però è ridotto all’osso e questo crea un sovraccarico di lavoro e turni impegnativi.
Non solo: il consumo di dispositivi di protezione individuale è molto elevato. E’ grazie alla Fondazione Corti e ai suoi donatori che al momento siamo coperti, ma continuiamo ad aver bisogno di supporto.” Basti pensare che nel solo mese di giugno sono servite 25.400 mascherine chirurgiche, 960 FFP2 e ben 300 mila paia di guanti. Il tutto per una spesa di 135 mila Euro al mese.
Janet mi ha anche confidato quanto sia doloroso assistere così tanti pazienti gravi e vederli morire.
“Oltre al carico professionale c’è un pesante fardello di dolore”, racconta: “un paziente sotto ossigeno è sempre molto ansioso e va costantemente rassicurato. Spesso assiste alla morte del vicino di letto e ha una crisi di panico pensando che toccherà la stessa sorte anche a lui.
Il nostro lavoro va molto oltre l’assistenza infermieristica: è necessario parlare costantemente con i pazienti, offrire supporto psicologico continuo”.
E aggiunge: “condividiamo la sofferenza dei malati e dei loro familiari ed è logorante assistere tante persone che ti muoiono tra le braccia. A fronte di un paziente che sta morendo, c’è un parente che sta crollando. Ed essendo davvero molto critici, il tasso di mortalità è altissimo”.
“Nei giorni scorsi”, continua, “è arrivato al Lacor un paziente abbastanza stabile: non aveva bisogno di ossigeno, ma era positivo. Non avendo spazio a sufficienza l’abbiamo indirizzato all’ospedale governativo di Gulu, ma è tornato dopo pochi giorni. Di colpo era molto malato e aveva bisogno di parecchio ossigeno; sarebbe stato meglio trasferirlo a Kampala, ma la famiglia non ne ha voluto sapere. Desiderava rimanesse al Lacor ed era disposta a pagare. Ma noi non offriamo servizi privati per la cura del Covid. Ogni paziente viene curato come gli altri!”
E’ anche per questo che il contributo della Fondazione Corti è ancor più indispensabile in queste settimane in cui l’Uganda sta vivendo una pesante seconda ondata di Covid.
Ne è convinto il dottor Kansiime: “è il vostro lavoro che ci permette di aiutare tanta gente”, mi ha detto. “Per molti siamo l’ultima speranza. Alcuni pazienti arrivano al Lacor anche da duecento chilometri di distanza, convinti che qui sia più probabile sopravvivere al Covid.
Ed è grazie al vostro sostegno che possiamo presidiare quest’emergenza”.
Grazie dunque, a nome mio, ma anche e soprattutto di tutti i pazienti del Lacor e di chi, come Janet e il dottor Kansiime, eroicamente li assiste.
Continuate a stare al nostro fianco, noi continuamo a tenervi aggiornati.
Grazie
Dominique
P.s. Un grazie a Vatican news di cui sono lieta di condividere una mia intervista podcast realizzata mentre ero al Lacor