Le cure non si negano a nessuno
Accoglienza. E’ una parola chiave al Lacor. Accoglienza di bambini, future mamme, anziani. Accoglienza di malati, di persone che hanno bisogno di assistenza. E non importa da dove vengono. C’è stato Affo, che ha percorso più di 4 mila chilometri per raggiungere il Lacor dal Togo e c’è stato Galuwas Gai, un giovanissimo rifugiato dal Sud Sudan.
Le cure non si negano a nessuno al Lacor.
Arrivato in ospedale durante una di quelle sere in cui le nubi grosse di pioggia scuriscono il cielo, Galuwas Gai ha 14 anni e non è cosciente. Ad accompagnarlo il papà ed uno zio, che da due mesi vivono nel campo profughi di Kiryangdongo, dove hanno trovato rifugio scappando dalla guerra in Sud Sudan.
Galuwas viene ricoverato in terapia intensiva; la copertura medica gratuita garantita dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) non è ancora attiva. Ma non è un problema, perché al Lacor le cure sono accessibili anche ai più poveri.
E’ la missione con cui è nato l’ospedale di Piero e Lucille: fornire la migliore qualità di assistenza al minor costo.
Sotto l’occhio vigile del dottor Dan Oriba Langoya, specialista nel reparto di medicina interna del St. Mary’s Hospital Lacor, Gai viene stabilizzato, ventilato e gli viene somministrato un antibiotico in attesa dei risultati degli esami di laboratorio. E’ in corso una meningite batterica; la diagnosi viene confermata dall’analisi del liquido spinale.
Cinque giorni nella terapia intensiva del Lacor ridanno la vita a questo giovane sudanese.
“Al campo profughi tutti pensano che il nostro ragazzo sia morto”, confida Guotleng, lo zio di Gai. “Non credono sia vivo neanche quando mostro loro le foto. Forse ci crederanno quando lo vedranno in carne ed ossa!”.
E lo vedranno.
Galuwas è in buona salute e ha ripreso gli studi (frequenta il secondo anno della scuola primaria); è stato dimesso dal Lacor Hospital una settimana dopo essere uscito dal reparto di terapia intensiva.
La sua famiglia viene dalla contea di Lero, nel Sudan meridionale e uno dei suoi fratelli è morto sotto i colpi nemici mentre fuggivano. Oggi vivono in un piccolo appezzamento di terra nel campo profughi: l’Uganda è nota per la sua accoglienza nei confronti dei rifugiati a cui offre la possibilità di rifarsi una vita.
“Ringrazio il Lacor Hospital per quello che ha fatto e prego perché continui ad aiutare gli altri“, ha affermato il padre di Galuwas, raggiante di gioia.
Un grazie sincero a tutto il personale che ha assistito Gai, ma anche un grazie a tutti coloro che donano perché il Lacor possa continuare a curare Affo e Gai e migliaia di altri come loro.
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