“L’ospedale mi ha dato la vita”
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Una malattia rara, due genitori alla ricerca di una risposta, un ospedale che non si arrende.
La storia di Okello Morris Griffin ha tanti ingredienti. Ed è una storia a lieto fine.
Oggi, a 27 anni, Morris ha appena concluso il suo tirocinio nel Dipartimento di Comunicazione del Lacor. “E’ l’ospedale che mi ha dato la vita, le persone che mi hanno insegnato a non arrendermi”, confida Morris, a cui è stata diagnosticata l’emofilia, malattia determinata dalla carenza di alcune proteine che permettono la coagulazione del sangue.
Il calvario comincia a soli due mesi, con macchie e gonfiori che compaiono improvvisamente, ferite che non si rimarginano, traumi, ma soprattutto tanto dolore. All’età di cinque anni una caduta dalla bicicletta, il gonfiore al ginocchio e un tentativo maldestro di un erborista tradizionale, causa a Morris una rigidità dell’articolazione che lo costringerà a zoppicare a vita.
La risposta ai problemi e alle sofferenze del giovane ha il volto di una zia, Sister Angioletta, infermiera al Lacor, che lo porta in ospedale. Ma anche del dottor Martin, oggi direttore, del dottor Jackson e di Sister Faiza, che a quel tempo lavorava nel pronto soccorso.
Morris rimane quattro mesi in ospedale; i medici sospettano che si tratti di emofilia, ma in Uganda, all’inizio del Duemila, non c’è ancora modo di provarlo. E non è disponibile la proteina della coagulazione (fattore IX) che serve come terapia. In mancanza di questa, i medici del Lacor decidono di usare sangue fresco. E funziona.
“L’arrivo al Lacor di un angelo con lo stetoscopio”, ricorda Morris, “permette la diagnosi di emofilia B”. L’angelo è il dottor Raymond Towey, medico missionario spesso al Lacor, che porta i campioni di sangue in Gran Bretagna per analizzarli.
Oggi, conclude Morris, grazie alla collaborazione tra il Lacor e la Fondazione per l’emofilia in Uganda, il fattore IX di coagulazione è disponibile per tutti i pazienti.
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