Apwoyo, grazie per il tuo dono
Gulu, giugno 2022
La pediatria del Lacor, insieme alla maternità, sono il cuore di quest’Africa. E il suo specchio.
Colori, pianti, ma anche sorrisi lucenti.
Dietro il vetro di una delle grandi stanze gremite, un papà ha uno sguardo amorevole; la tenerezza con cui sta dando da bere alla sua bimba fa bene al cuore. Un bimbetto piange disperato e quando vede il mio volto pallido strilla ancora più forte. Gioco a nascondermi per distrarlo, ma ad ogni tentativo le urla aumentano. Le mamme ridono forte.
Le stanze dove i bambini aspettano la chemio sono quasi sature; venti letti, ne conto solo uno vuoto. Tanti, troppi hanno attaccata al braccino una flebo rossa salvavita. Qui il sangue è più prezioso dell’oro.
Nell’atrio dell’ingresso c’è Martin, sette anni, è sdraiato su un lettino. La mamma aspetta, non parla inglese, solo dopo capisco che il medico è già passato; lo sguardo cade sui foglietti che spuntano dal suo libretto azzurro. Il valore dell’emoglobina è 4, in un bambino dovrebbe essere almeno 11. Martin sta aspettando la sua sacca dal laboratorio. La malaria non perdona, il parassita distrugge i globuli rossi, l’unica soluzione è una trasfusione.
Allora le infermiere chiedono ai parenti, ma spesso non serve: HIV ed epatite sono così diffusi che non tutti possono donare. Riserva preziosa sono le scuole all’interno del Lacor: le future ostetriche o infermiere, chiamate in soccorso, vanno in laboratorio a donare anche nel cuore della notte, se serve.
In un’altra stanza una giovane donna si è addormentata sulla stuoia ai piedi del letto della sua bambina; il viso rivolto al muro, sembra volersi lasciare alle spalle tanta stanchezza. Forse ha camminato per ore per portare qui la sua piccola.
Il Lacor offre speranza. C’è chi arriva da villaggi distanti 150 chilometri. Come Alan. Guarito oltre un anno fa, doveva tornare per una visita per controllare che il linfoma che l’aveva colpito fosse solo un brutto ricordo. Ma non si è visto. L’infermiera Clare è andata fino ad Apac a prenderlo, tre ore di jeep sulle rosse strade terrose della savana. Clare ha parlato con la mamma e con l’anziano del villaggio; ha garantito il costo del trasporto e il giorno dopo Alan è al Lacor, accolto nella casa per bambini malati di tumore gestita dalla onlus Soleterre. La dottoressa Pamella Aol lo ha visitato e ha prescritto le indagini. Se tutto è a posto potrà tornare al villaggio.
Alcune donne si raggruppano ai piedi dei letti, sbucciano noccioline, passano il tempo. L’attesa qui ha un significato diverso, si dilata. C’è una pazienza antica negli occhi di queste donne.
Ti allontani, impotente. Il pensiero va a Martin e alla sua sacca di sangue che non ancora non c’è; dalla veranda il vociare delle mamme, accoccolate sulle stuoie sorridono e salutano, apwoyo apwoyo, che è insieme grazie e ciao. Ma grazie di cosa? Forse però qualcosa lo puoi fare. Ed è raccontare, permettere a questo “apwoyo” di arrivare al cuore di chi legge.
Bambini come Martin e Alan hanno bisogno anche di te.
Apwoyo. Grazie per il tuo dono.
Daniela Condorelli
Responsabile comunicazione Fondazione Corti