5 dicembre, giorno della memoria
5 dicembre. Al Lacor è il giorno della memoria. Si ricordano i fondatori Piero e Lucille, Matthew e il personale vittima di Ebola nel Duemila, Fratel Elio e il dottor Cyprian Opira recentemente scomparso.
È un giorno di commozione, nel ricordo di chi, in modi diversi, ha dedicato la propria vita alla missione di cura. Dopo la Santa Messa prendono la parola il direttore Martin, poi Margaret, moglie di Matthew Lukwiya, e Dominique.
Il dottor Martin ricorda la dedizione di Lucille, che non smise mai di occuparsi dei pazienti anche durante la sua lunga malattia. E ricorda i tempi in cui per chilometri e chilometri intorno al Lacor non c’era nulla, l’ospedale era l’unico luogo che garantisse cure. Si rivolge ai giovani: “ricordando i nostri morti dobbiamo lavorare per mantenere la qualità della cura”.
In questo giorno in cui la memoria si trasforma in lascito, il pensiero va al dottor Matthew, morto di Ebola il 5 dicembre di 24 anni fa. Lo ricordiamo con le accorate parole scritte il giorno dopo la morte dell’amatissimo amico dal professor Donato Greco, oggi nel consiglio di amministrazione di Fondazione Corti.
6 dicembre 2000
Testimonianza di Donato Greco: un grido disperato
Matthew è morto.
Sento un grido forte, alto, prorompente, un grande grido disperato.
L’ultima persona che poteva morire: chiunque altro, ma non lui.
Mille ragioni, tutte le logiche, ogni motivo di giustizia, di opportunità, di amore: non lui, non poteva essere lui: era lui che insegnava come evitare la morte di Ebola, non ha commesso errori di comportamento, sapeva benissimo cosa fare.
Ebola l’ha scoperta lui, Ebola lui l’ha fermata.
Non fosse arrivato di corsa dal suo impegno di studio a Kampala, nessuno avrebbe identificato Ebola prima che devastasse l’ospedale e l’intera regione. Se Ebola è stata contenuta è soltanto perché Matthew ha intuito, ha sentito qualcosa di strano.
Chi ha ucciso mio fratello Matthew?
Non certo la sua imprudenza, né la sua incapacità di difendersi.
L’ha ucciso la sua vocazione! La sua totale dedizione agli altri, il suo consapevole e razionale vivere ai bordi della sopravvivenza, sulla lama della vita, col sorriso e l’allegria che non gli sono mai mancati.
La storia è nota: diversamente da tanti altri ospedali in Africa, ed anche in Italia, a Lacor si ama l’ammalato, gli si vuole bene, si cura, si lava, si accudisce; non lo si guarda da lontano in attesa che muoia come succede nel vicino ospedale governativo. Matthew non ha col personale rapporti di gerarchia; ne è fraternamente amico, ci vive insieme, ne condivide i problemi, il lavoro, i guai; secondo l’insegnamento dei Corti e delle Suore e dei Fratelli di Lacor.
Il suo personale si è ammalato, sono morti dieci infermieri nell’ospedale; non erano casi qualunque, Matthew li ha vissuti come tra fratelli, forse anche con un non motivato senso di colpa per non aver loro evitato il contagio.
L’ho visto più volte parlare con loro, fermare un loro gesto spontaneo di aiuto errato, a rischio; insistere sulla cautela continua. Non ha tollerato la morte dei suoi fratelli; ha lottato contro, anche con disperazione, impegnandosi al limite delle sue forze, diventato per loro il medico, l’infermiere, il portantino, il parente. E per arginare lo sconforto del personale non ha esitato a fare in prima persona tutte le mansioni; dal lavare per terra a lavare il malato e via così. Come poteva assistere il suo fraterno amico Simon che stava crepando d’Ebola, senza darsi anima e corpo, fino a pulire lui il sangue di morte schizzato sui muri?
Non è stata certo una caduta professionale, né incosciente manovra esemplare, tanto meno inconsapevole audacia; è stata la sua vocazione, il suo modo di vita, il suo essere.
Quella vocazione condivisa da tanti altri a Lacor, condivisa dai dodici morti prima di lui.
(…)
È possibile che veramente, oggi, nel 2000, esistano persone come Matthew? Veramente persone che del sacrificio della propria vita per gli altri non ne fanno solo un mito, ma una mera realtà quotidiana; pazzi che crepano con il sorriso in bocca?
Non è possibile.
(…)
Un funerale frettoloso è oggi all’alba; i morti di Ebola non hanno camera ardente e riti funebri; già è molto che Matthew sia andato a finire sotto il grande albero, a fianco a Lucille, la moglie di Piero Corti, la maestra dei pazzi di vocazione; è circondato dai fiori più belli di Lacor: frangipane, enormi ibiscus, gladioli e tanti altri che nemmeno so riconoscere; è il luogo sacro di Lacor, più della vicina chiesetta dell’ospedale.
E se io sono in pietose condizioni, che succede a Lacor? Che faranno i compagni di Matthew? I suoi allievi!
Elio gli avrà fatto lui stesso la bara; e Piero con i suoi infarti? E Bruno che quotidianamente sostiene l’ospedale? Come faranno a sopportare questo dolore? Come faranno a reggere? Come faranno a continuare?
Inutile dire che le prime informazioni da Lacor sono omogenee: continuiamo.
Donato Greco