USAID lascia l’Uganda

Carissimi, vi scrivo dal Lacor dove sono giunta pochi giorni fa.
Alle sfide che affrontiamo ormai da molti anni insieme al personale dell’ospedale, se ne è aggiunta una inimmaginabile fino a qualche settimana fa: il blocco dei fondi dell’agenzia statunitense USAID. Per oltre vent’anni, USAID ha finanziato il programma salvavita per le persone sieropositive, ovvero la prevenzione, la diagnosi e soprattutto la costosa terapia dei malati con HIV.
Ieri, 6 marzo, abbiamo ricevuto la lettera che mette la parola fine alle speranze di continuare a ricevere almeno i preziosi farmaci.
Per il Lacor questo significa una perdita di circa 600 mila dollari all’anno. Solo i farmaci antiretrovirali che venivano garantiti alle 7 mila persone sieropositive in cura al Lacor avevano un valore di 400 mila dollari. Una somma pari al costo di tutti gli altri farmaci che servono per curare il resto dei 190 mila pazienti che l’ospedale accoglie ogni anno.
Inoltre, il Lacor riceveva circa 200 mila dollari per la copertura degli stipendi di circa 40 dipendenti coinvolti nelle cure dei pazienti con HIV.
Costi che il Lacor, già in crisi per gli eccezionali aumenti dovuti alla pandemia e alla situazione geopolitica, non può permettersi. La Fondazione, che sopperisce alle necessità nei momenti di crisi, non può far fronte anche ad ulteriori cifre di quest’ entità.
Da ieri il Dr Emmanuel Ochola, direttore scientifico e responsabile al Lacor per il programma HIV, ha fermato gli outreach, le missioni per le visite di controllo e la distribuzione dei farmaci a chi vive nei villaggi lontani.
Tra pochi giorni finiremo le riserve di antiretrovirali in ospedale.
Per me, per tutti i colleghi ugandesi e italiani, sanitari e non, che con me condividono la felicità e la responsabilità di questo lavoro, non si tratta di persone senza volto che vivono dall’altro lato del mondo. Sono donne che lavorano da decenni in ospedale, che mantengono la propria famiglia. Donne che ricordo ridotte come mia mamma ad uno scheletro, malate una settimana sì e due no fino a quando, nel 2004, è stato avviato questo programma.
Con gli antiretrovirali hanno ripreso a vivere, hanno avuto figli… ora i pensieri e la preoccupazione sono da impazzire.
Ma non è che l’ennesima tra quelle malattie che qui in Uganda conducono a morte, mentre in Italia sono presto e semplicemente risolte.
Senza antiretrovirali l’HIV è una sentenza di morte e di nuovo un grande pericolo di diffusione del virus.
Stiamo cercando soluzioni per tamponare l’emergenza, ma la coperta è corta, le risorse sempre più stirate.
Grazie
Dominique Corti