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Africa
Uganda
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08 Aprile 2025

Protagonisti del cambiamento

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Un ospedale tutto africano. Era desiderio di Piero e Lucille che il Lacor fosse del tutto in mano agli ugandesi e così è stato: sono quasi trent’anni che la direzione è locale, così come il personale.

Oggi però nei reparti si incontrano alcuni giovani occidentali. Chi sono? Studenti e specializzandi che svolgono il tirocinio. Perché nelle corsie del Lacor c’è molto da imparare.

Tra gli altri, abbiamo incontrato Francesco Balata, futuro cardiologo che si sta specializzando in cardiologia presso l’Ospedale Monzino di Milano.

Ecco cosa ci ha raccontato.

Ho conosciuto la Fondazione Corti tramite il professor Piergiuseppe Agostoni e il Dottor Massimo Mapelli che da sempre ci parlano del Lacor. Volevo mettermi alla prova, fare un’esperienza in un contesto più sfortunato e conoscere patologie che non si vedono più, come la malattia reumatica”.

Quali erano le tue aspettative prima di partire?
Non molte, nel senso che non avevo testimonianze dirette del posto se non quelle del Dottor Mapelli, che risalivano però a dieci anni fa. Mi ero preparato ad affrontare una realtà con pochi strumenti e tanta necessità di assistenza.”

Com’è stato l’impatto iniziale?
Il mio arrivo è stato un mix di emozioni. Ero un po’ spaventato, ma ho trovato una struttura organizzata e tanto personale locale competente. Nel reparto di medicina interna c’erano pochi pazienti per un cardiologo, ma in radiologia sono diventato presto un punto di riferimento per i casi cardiologici e ho avviato una ricerca.”

Di cosa si tratta?
Ho eseguito più di 600 ecocardiogrammi, con molti casi di cardiopatie congenite che in Italia sarebbero operabili, mentre in Uganda non esiste questa possibilità perché non ci sono cardiochirurghi. Sto lavorando a un database per confrontare i dati attuali con uno studio fatto dieci anni fa.”

Ricordi un paziente particolare che ti ha colpito?
Ricordo un uomo, un agricoltore di circa sessant’anni, che aveva camminato per più di venti chilometri per raggiungere il Lacor. Era stremato dal lavoro e il suo cuore batteva troppo lentamente. In Italia, una condizione del genere si risolve facilmente e subito con l’impianto di un pacemaker. Senza l’intervento si rischia uno scompenso cardiaco.

Mi colpì molto perché, in quel contesto, non c’era nulla che si potesse fare, se non andare fino a Kampala, la capitale, dove l’impianto di pacemaker costa circa 5 mila Euro. Una possibilità inesistente per la maggior parte della popolazione. E per quell’uomo.”

Hai trovato elementi positivi nel sistema del Lacor Hospital?
Sì. Il Lacor è un grande ospedale con tante risorse umane. Il personale ugandese è preparato e le competenze in cardiologia sono cresciute molto negli ultimi anni”.

Testimonianze come questa mostrano la complessità del lavoro al Lacor Hospital.

Da un lato, ci sono sfide enormi: mancanza di strumenti, difficoltà economiche e patologie spesso diagnosticate tardi. Dall’altro, emerge la grande competenza del personale locale e la resilienza di un sistema che, nonostante le difficoltà, riesce a garantire cure a migliaia di persone.

Competenze come quelle di Francesco sono utili al Lacor, a causa della grande carenza di specialisti in cardiologia in Uganda. E, grazie al passaparola, a breve un’altra specializzanda del Monzino verrà al Lacor. Un’esperienza che la stessa Società Italiana di Cardiologia caldeggia molto, al punto da prevedere un contributo per chi decide di trascorrere un periodo in Paesi in via di sviluppo.

E che ha un’utilità reciproca: Francesco e gli altri specializzandi che trascorrono un tirocinio di sei mesi in Uganda saranno futuri medici diversi, umanamente e professionalmente più ricchi.

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