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26 Febbraio 2025

Il Lacor contro l’HIV ai tempi di Trump

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L’ospedale? E’ come una mamma che deve occuparsi di nutrire i suoi figli e assicurarsi che nessuno rimanga senza cibo”. Spiega così Pamela Akera, assistente sociale del Lacor che tiene i legami con le comunità, alle donne in attesa all’ombra di un grande avocado.

Siamo ad Alokolum, uno dei 22 villaggi dove il Lacor distribuisce regolarmente i farmaci antiretrovirali a chi è sieropositivo.

E’ il 20 febbraio. È passato un mese da quando il Presidente degli Stati Uniti ha “congelato” per 90 giorni i fondi dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale USAID. Tra questi aiuti ci sono anche i farmaci antiretrovirali che il Lacor distribuisce alle settemila persone sieropositive che ha in cura. Da quel 20 gennaio le notizie si sono rincorse in modo confuso e l’incertezza è ancora sovrana.

Al Lacor c’è cauto ottimismo e, come sempre, grande resilienza. Ci si rimbocca le maniche e si continua a servire la comunità del Nord Uganda. Come da 65 anni a questa parte.

Pamela spiega a chi è venuto a prendere la sua scorta di medicine, solitamente data per sei mesi, che oggi verranno distribuite solo per un mese. Parla in acholi alle persone raccolte in attesa della visita e dei farmaci: la parola America si ripete.

Ma come si può spiegare che dall’altra parte dell’oceano si è deciso di non garantire più le medicine a milioni di persone positive con HIV? E neanche il sostegno ad ogni attività e ad ogni spesa indispensabile a realizzarla? Stipendi, guanti, disinfettante, benzina per raggiungere le comunità…

Oggi ad Alokolum ci sono perlopiù donne, ma c’è anche qualche uomo. Cosa accadrebbe se questi fossero gli ultimi farmaci che ricevono? Quante persone verrebbero contagiate?

Solo in Uganda le persone con HIV sono un milione e mezzo.

Molte strutture si sono fermate, spiega ancora Pamela; i nostri pazienti apprezzano che il Lacor sia ancora qui per loro”. A Gulu la TASO, organizzazione che da oltre vent’anni sostiene chi ha l’HIV, ha dovuto ridurre le sue attività.

E il Lacor? Risponde il direttore scientifico dottor Emmanuel Ochola, responsabile per i servizi HIV: “Abbiamo appena saputo che per questo mese riceveremo una parte dei fondi anche per coprire gli stipendi degli oltre quaranta dipendenti finanziati da USAID fino ad oggi. Non è abbastanza, ma è un segnale di apertura.

Questi fondi si potranno usare per cure salvavita: farmaci per la terapia, attività di prevenzione e diagnosi. Ma anche per prevenire la trasmissione del virus da mamma a bambino; per fare test di screening e fornire la terapia contro la tubercolosi; retribuire il personale incaricato e il trasporto per procurarsi i farmaci e distribuirli nelle comunità. “Ma con le clausole più restrittive che io abbia mai visto”, continua il dottor Ochola.

Gli unici tagli che il Lacor ha dovuto effettuare al momento riguardano circa 800 Euro al mese per i compensi ai sedici collaboratori esterni che chiamano a raccolta le persone nei villaggi quando c’è una distribuzione di farmaci o rintracciano le persone che non seguono al meglio le cure.

Nel frattempo i giornali locali titolano la chiusura degli ambulatori HIV e il Ministero della Salute ha raccomandato che tutti i servizi HIV vengano ora integrati nell’assistenza ospedaliera di routine: lo stesso medico che visita un paziente per malaria, ipertensione o diabete sarà anche quello che visita il paziente HIV.  Non sarebbe semplice” commenta il dottor Ochola. “Gli ambulatori HIV hanno archivi e sistemi molto complessi da trasferire. Ma in futuro, se non ci fossero più finanziamenti, dovremo ripensare come essere ancor più efficaci. Occorre cogliere l’opportunità”.

Intanto Ayot Christine, che si occupa di fare gli ordini e controllare le scorte di farmaci, ha contato 857 pastiglie di terapia antiretrovirale rimanenti.

Cerchiamo di risparmiare le medicine per chi ne ha davvero bisogno”, sottolinea.

“Se in una coppia una persona è positiva e l’altra no, ma la carica virale di chi è positivo è molto bassa e quindi non c’è rischio di contagio, viene sospesa la profilassi solitamente effettuata per evitare la trasmissione al partner”. In attesa di tempi migliori. La priorità va alle future mamme, perché non trasmettano il virus al bimbo, e alle mamme che allattano. “Al momento abbiamo in cura circa 300 mamme”, spiega Fiona Grace, ostetrica che lavora nell’ambulatorio per le mamme sieropositive. “Ci prendiamo cura di loro e dei piccoli e ci assicuriamo che i bambini nascano negativi, cioè senza HIV”.

Le donne venute oggi nell’ambulatorio di Sister Fiona Grace hanno ricevuto solo un mese di scorta. Almeno fino al primo marzo, giorno in cui Christine farà il nuovo ordine di antiretrovirali al Joint Medical Store di Kampala, il fornitore ufficiale di medicine di oltre 3 mila strutture sanitarie in Uganda. 

C’è attesa dunque. Ottimismo per gli spiragli intravisti, ma anche moltissima preoccupazione.

In tempi così incerti c’è ancora più bisogno della tua vicinanza.

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