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08 Aprile 2025

Hiv, il Lacor non si rassegna

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Il Lacor non si rassegna, si dà da fare per cercare una soluzione, la migliore possibile, per continuare a garantire le cure a chi ha l’HIV. Intanto sugli scaffali degli ambulatori c’è ancora qualche scorta di medicinali e le attività di distribuzione farmaci vanno avanti, anche se in forma ridotta. Potrebbe essere questa la sintesi degli aggiornamenti avuti nei giorni scorsi dai direttori dell’ospedale.

Preoccupazione e incertezza sono tangibili, ma si cerca di mantenere viva la speranza, pur senza dare false illusioni alle circa 7 mila persone che si affidano al Lacor per continuare la terapia antiretrovirale che tiene a bada l’HIV.

Facciamo un passo indietro. L’ordine del Presidente Trump di chiusura dell’Agenzia governativa USAID è entrato in vigore lo scorso 7 febbraio; da allora le notizie si sono rincorse, spesso in modo contraddittorio.

Ma qual è in questo momento la situazione al Lacor? Tanti amici e donatori ce lo chiedono; abbiamo girato la domanda al direttore istituzionale, il dottor Martin Ogwang, e al direttore scientifico, il dottor Emmanuel Ochola, che è anche responsabile di tutte le attività di prevenzione, diagnosi e terapia del virus HIV, dentro e fuori il Lacor.

Il 4 aprile il progetto USAID per il Lacor, attivo dal 2004, è stato ufficialmente chiuso”, spiega il dottor Emmanuel. Questo significa che, a parte alcune minime coperture di costi per attività già effettuate, da venerdì scorso i costi del personale e per altre attività, come le indagini di laboratorio, finanziate dall’agenzia americana per un totale di circa 200 mila dollari l’anno, non hanno più copertura economica. Stiamo parlando di una parte dello stipendio di circa 45 persone tra medici, infermieri e assistenti sociali. Ma nessuno è stato licenziato perché si tratta di personale dell’ospedale.

Nel 2004, a differenza di quanto scelto da molte altre organizzazioni, si ottenne che il progetto per i pazienti con HIV non fosse separato dal resto dell’ospedale, con personale dedicato esclusivamente a questa malattia. Questo significa che quel personale non verrà licenziato, perché fa parte dell’organico dell’ospedale e svolge anche molte altre attività. Quella scelta era giusta allora e lo è ancora oggi perché tante malattie, così come le loro cause sociali, le diagnosi e le cure, si intrecciano e condividono molto tra loro. Gestire ogni patologia come un progetto a sé stante può forse aiutare il donatore a vedere meglio l’impatto del proprio intervento, ma in contesti dove le risorse sono già molto limitate rischia di generare solo sprechi e inutili duplicazioni.

Oggi quindi l’ospedale fa fronte a questa sfida facendo ciò che ha sempre fatto, soprattutto nei momenti di maggior emergenza: ottimizzare le risorse al massimo e cercarne di nuove.

Per quanto riguarda i farmaci la situazione è ancora confusa. “Stiamo aspettando di sapere se gli Stati Uniti continueranno a fornire almeno gli antiretrovirali, medicine salvavita”, spiega il dottor Ochola. Se così non fosse, la spesa per 7 mila pazienti sarebbe insostenibile, considerato anche che, se il Lacor fosse l’unico ospedale a fornirli, tutti i malati del Nord Uganda si recherebbero nei suoi ambulatori nella speranza di potersi curare.

La buona notizia è che, ad oggi, le attività non si sono mai fermate perché, con grande lungimiranza, l’ospedale ha razionato i farmaci. “Le nostre ambulanze continuano ad andare nei villaggi a distribuire i medicinali, con la differenza che ne possono dare solo per un mese. Stimiamo che circa il 60-70 per cento dei pazienti abbia ancora qualche scorta. Anche le visite e i controlli di laboratorio continuano”, afferma il dottor Ochola.

Aggiunge il dottor Martin: “cresce la pressione perché il governo inserisca in bilancio l’acquisto di antiretrovirali; quasi il 10 per cento della popolazione ugandese è sieropositiva e interrompere la terapia non significherebbe semplicemente aggiungere un’altra malattia non curabile alle altre che già affliggono la popolazione. Vorrebbe dire, piuttosto, aprire la porta a molte diverse malattie per ciascun paziente con AIDS: senza farmaci, infatti, il virus riprende a moltiplicarsi, distruggendo il sistema immunitario e rendendo l’organismo vulnerabile a numerose altre infezioni”.

Viene in mente la parola resilienza, anche se va un po’ troppo di moda. Ma qui è il caso di usarla. Il Lacor non si rassegna; lotta per continuare la sua missione: curare i più fragili.

E lo fa anche con il tuo aiuto.

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