Ago e filo a servizio degli altri

La bella storia di Laker Eugena inizia a Moyo, una cittadina ad Ovest del Nilo. Da giovanissima, Laker è costretta a fuggire da casa per l’inasprirsi della guerra e rifugiarsi dalle suore comboniane del Lacor, l’unico luogo rimasto aperto e sicuro durante i conflitti che hanno colpito il Nord dell’Uganda.
È al Lacor che le abilità manuali che aveva già mostrato da bambina si affinano diventando più di un lavoro: una missione. Le suore la iscrivono ad un corso di sartoria e le mani di Laker diventano, a modo loro, uno strumento di cura. La giovane comincia a cucire divise per studenti, camici per infermieri e medici, lenzuola per l’ospedale. Il suo lavoro, da allora e per quasi 50 anni, diventa vestire chi si prende cura degli altri.
“È il periodo più felice della mia vita,” confida Laker, che è ancor oggi una delle sarte del Lacor. “Amo vestire e far apparire in ordine le persone che si prendono cura degli altri. Da bambina volevo diventare infermiera, ma non ci sono riuscita. Eppure, attraverso il mio lavoro, sento di far parte della missione di cura dell’ospedale.”
Non è la guerra, ma la poliomielite, a precludere a Laker altre strade: la malattia l’ha lasciata fisicamente disabile, incapace di camminare. Ma non ha mai spento il suo spirito. Il Lacor le ha dato un’opportunità e Laker non si è mai arresa.
Da 47 anni Laker Eugena vive e lavora all’interno dell’ospedale. Quello che era nato come luogo di rifugio è diventato la base della sua identità, un luogo in cui ha trovato dignità nel lavoro e una famiglia nella comunità.
“Qui ho una casa e una vita,” afferma. “Grazie al mio buon lavoro, mi è stata data l’opportunità di restare e continuare anche dopo la guerra. Il Lacor è diventato più di un ospedale per me, è il luogo che ha restituito significato alla mia vita.”
Con il suo stipendio, Laker ha fatto studiare il figlio della sorella; con anni di sacrifici lo ha sostenuto fino alla laurea in Medicina.
“Quando ha indossato quel camice bianco il giorno della laurea ho sentito di aver realizzato il mio sogno attraverso di lui. Forse non ho curato pazienti con la medicina, ma ho donato al mondo qualcuno che lo farà. E questo mi basta”.
Il Lacor è anche questo. È una grande famiglia di persone che qui hanno trovato un futuro.
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